venerdì 2 maggio 2008

199 - Venerdì 2 maggio 2008, "Yom Hashoàh", Giorno della Memoria...



“Gòlde Steplitzky, mi chiamo Gòlde Steplitzky, sono la moglie di Zolmen Meier Guerber e vado a Parigi. Questi sono i miei figli”. La piccola donna ebrea non riusciva a dire altro. Era terrorizzata da quella stanza buia, dagli uomini in divisa che la stavano interrogando dimostrandole disprezzo ed aggressività. Era stravolta dalla stanchezza, dalla fame e dalla sete, e il puzzo tremendo di tabacco e di vodka scadente che riempiva la stanza le dava la nausea. I due bambini, un maschio e una femmina, se ne stavano aggrappati alla sua gonna lunga e tremavano. Non piangevano perché da tempo avevano imparato a non piangere più nei momenti gravi. Così piccoli sapevano già fin dove poteva arrivare l’odio dei cristiani, dei Goyim, nei loro confronti, e la cattiveria delle guardie di frontiera polacchi era niente in confronto alla ferocia dei cosacchi dello Zar. Yankel, il maschietto, era troppo piccolo per ricordarsi l’ultimo pogrom ma Bertha, la sorella, se lo ricordava benissimo, e tutti e due si ricordavano del consiglio paterno : “non piangere mai davanti ai Goyim, li fa diventare ancora più cattivi”. Dopo quell’ultimo pogrom le cose si erano messe molto male tra lo Zar e l’imperatore del Giappone, e loro padre aveva ricevuto un ordine di arruolamento obbligatorio nell’esercito imperiale. Questo significava che doveva andare a Kiev per sottoporsi al sorteggio. Facevano girare una ruota e la cifra che usciva indicava gli anni di servizio. La ruota dei cristiani era cifrata da zero a dieci, quella degli ebrei da dieci a venti. Zolmen Meier si beccò quattordici anni. Quattordici anni da regalare ad uno Zar che costringeva i suoi ebrei a vivere nell’odio, nella paura e nella povertà...era impensabile! Decise di emigrare, di portare la sua famiglia lontano dalla guerra, dalla Russia, dai pogrom, dall’odio e dalla miseria. Fu una decisione sofferta. Disertare era molto rischioso e Umanj, il loro “shtetl” alle porte di Kiev, era pur sempre il villaggio dove erano nati e dove vivevano da secoli anche se non era mai stato un paradiso.... Ma non ne poteva più. Disertò. Partì da solo. Passò le frontiere da clandestino, camminò per settimane nel freddo dell’inverno russo, polacco, tedesco, con la fame al ventre e la paura dei cani, dei soldati, dei poliziotti, dei contadini ; bussò dai rabbini, dalle comunità ebraiche, si nascose, combinò di tutto e un bel giorno arrivò a Parigi dove con l’aiuto dei correligionari e delle associazioni di beneficenza ebraiche si sistemò in due stanzette fredde e umide al 17 della rue des Rosiers, sesto piano, con l’acqua e le comodità giù nel cortile. Gli sembrava un paradiso. Parigi era un posto da sogno, una città meravigliosa, immensa, luminosa, bellissima, tollerante, e la rue des Rosiers, la strada più popolata e importante del “pletzl” (qui non si chiamava “ghetto”) era una strada piena di negozi ebrei, di oratori ebrei, di taverne ebree...Tutti giravano tranquillamente, senza paura, anche gli Hassidim con il caffettano nero, il grande cappello ornato di pelliccia, lo scialle da preghiera e la barba lunga con i “peyes”. Le mogli stavano per la strada la mattina, comprando carpe o carne secca, e non c’era nessun bambino russo, nessun Goy, nessuna matrona cristiana per deridere la loro parrucca e le loro gonne lunghe fino ai piedi. Questo sì che era un paese civile, una terra d’asilo! “Qui non ci potrà succedere più niente di brutto”, scrisse a Golda, “devi prendere i bambini e raggiungermi subito!”
Golda ubbidì come aveva sempre ubbidito. Era una donna molto pia e la Legge diceva che il primo dovere di una moglie è di seguire il marito. Ovunque. Anche in capo al mondo. Preparò i bambini, prese con sé il minimo necessario, cucì nell’orlo della sua gonna i pochi rubli e i due o tre gioielli che possedeva e partì anche lei alla volta del paradiso. Ma lei era una donna semplice e onesta, non era capace di furbizia, non sapeva nascondersi, e passare le frontiere di notte con due bambini piccoli pagando i passatori non era semplice. I passatori erano dei tipi poco raccomandabili, contrabbandieri , mezzi banditi che provavano sempre a farsi pagare "in natura" o a rubarle i suoi averi, ma la presenza dei bambini in qualche modo la proteggeva. Arrivando al confine con la Germania gliene capitò uno particolarmente insistente e cattivo con il quale litigò e che insultò nel suo yiddish fiorito. Allora lui la denunciò.
Erano da tre giorni in quella cella fredda, con i Polacchi che li insultavano e li terrorizzavano. Lei non toccò mai le patate né il cavolo bollito che gli davano una volta al giorno, perché puzzavano di strutto di maiale. Sapeva che i Polacchi lo facevano apposta e si sarebbe lasciata morire di fame piuttosto che dargli la soddisfazione di vederla rinnegare la Legge dell’Eterno. In compenso obbligò i piccoli a nutrirsi dicendogli che la Legge permetteva ai bambini di mangiare qualsiasi cosa in caso di necessità. La sera del terzo giorno arrivò un signore elegantissimo che si presentò come l’avvocato Mendelbaum di Varsavia e diceva di rappresentare un'associazione di soccorso e beneficenza ebraica della capitale. Aveva un mandato in regola e chiese di portare via la donna ebrea che gli era stata segnalata, e i suoi due bambini. Firmò un sacco di documenti, pagò una somma cospicua e se ne andò con Golda e i piccoli al seguito. Li portò nella città più vicina, li fece ospitare per la notte in una casa ebrea dove si lavarono, mangiarono e dormirono, gli diede documenti in regola, soldi e biglietti ferroviari e li salutò alla stazione prima che prendessero il treno per Berlino. E così, dopo un lunghissimo viaggio, Golda Steplitzky e i suoi due bambini arrivarono anche loro a Parigi, in treno come i signori. Zolmen Meier li aspettava alla Gare du Nord in lacrime e felice come mai era stato in vita sua, e quando Golda gli chiese di spiegarle la generosità con la quale l’avevano trattata, rispose semplicemente : “per ora “Gottsedanke”, ringraziamo l’Eterno, e se un giorno li incontreremo ringrazieremo I baroni Rothschild”.
Per Golda cominciò un'era di pace e di felicità. Zolmen Meier, appena arrivato, aveva trovato lavoro come fabbro in una ditta di periferia che fabbricava lanterne per le ferrovie, e siccome era un operaio bravissimo e un artigiano abilissimo - quasi un artista nel suo campo - ci mise poco a creare la sua piccola ditta propria. Alcuni anni dopo Golda aprì un modesto emporio con i loro risparmi in rue des Rosiers e nel frattempo erano nate Clara , poi Hava (Eva), detta Heivedl, che à l’età di cinque anni era già capace di reggere il negozio da sola e sarebbe stata commerciante di genio tutta la vita. Ma la vita, anche a Parigi, anche in paradiso, non fila sempre liscia e felice : Heivedl aveva quattordici annni, la quinta elementare, e studiava per diventare stenodattilografa (un mestiere da signora!) quando Zolmen Meier morì. Il lavoro e sessanta Gauloises al giorno gli avevano rovinati i polmoni. Non sarebbe invecchiato a Parigi come sognava, accanto a Golda e circondato da una bellissima famiglia di “menschn”, di signori e signore dai bei mestieri, con una nuora da chi andare a cena per Shabbat, tre generi onesti a chi raccontare la Russia nel suo yiddish ukraino e tanti nipotini da coccolare. Si spense velocemente e fecero appena in tempo a seppellirlo che Golda si trovò sola con tre figlie da accudire. Yankel , fortunatamente, viveva già per conto suo facendo il taxista, e le passava un po’ di soldi in fondo al mese. Ma non bastavano mai e lei si dovette rimboccare le maniche per fare rendere di più il negozio. Lavorò tantissimo, cucinò, badò alla casa, alle figlie, ai conti, a tutto, senza lamentarsi mai, senza mai pronunciare una parola negativa. Tutto era meglio che la vita a Umanj, tutto era preferibile all’inferno dello Zar. La Francia era un paese benedetto dove gli ebrei potevano celebrare il Shabbat, Kippur, Rosh-ha-shana e tutte le altre feste senza temere gli insulti dei vicini, la violenza dei cosacchi, l’ostracismo di tutti...La Francia era veramente come dicevano in Russia : una terra d’asilo. Nella sua ignoranza della Storia lei sapeva che i francesi avevano cacciato il loro zar e che rispettavano una legge che cominciava così “Les Hommes sont tous égaux en droit”, gli Uomini hanno tutti gli stessi diritti”. Mai i Russi si sarebbero sognato di cacciare lo Zar e di rispettare una legge che desse agli ebrei gli stessi diritti di tutti, e quando un giorno le dissero che era successo, che i Russi avevano cacciato Nicola e stabilito la democrazia, non ci credette proprio. No, solo la Francia era il paese dove niente di brutto poteva più succedergli, Golda ne era convinta.
Tanto convinta che fu difficilissimo farle lasciare la rue des Rosiers quando le truppe naziste invasero la capitale. Tutto era cambiato. La città sembrava impazzita. Soldati tedeschi dappertutto , svastiche, scritte in tedesco ad ogni angolo di strada, su ogni piazza, camion tedeschi, carri armati, mitragliatrici, grida, urli, ordini e contrordini tutto in tedesco...I rabbini dicevano che bisognava cucirsi una stella gialla sul vestito e non uscire mai senza. Nessuno aveva il diritto di stare fuori casa dopo il coprifuoco e i negozi ebrei venivano chiusi l’uno dopo l’altro. Un clima da pogrom, di nuovo. Bisognava fare in fretta, lasciare tutto di nuovo, andarsene, fuggire, passare dalla parte libera con l’aiuto degli “amici” del genero sefardita, marito di Heivedl : dei tipi strani che veneravano la Russia e parlavano di comunismo ma che riuscivano ad ottenere falsi documenti e lasciapassare. Alla fine la convinsero a partire, ma solo perché partivano tutti e che non poteva rimanere da sola. Una serie di miracoli gli fece arrivare tutti a Lione dove si sistemarono alla bell’e meglio, aspettando tempi migliori. Che non vennero, anzi...La Zona Libera fu regalata a Hitler, la Francia ebbe due governi : uno a Vichy e l’altro a Londra, e gli Ebrei dovettero fuggire di nuovo, se potevano.
Golda poteva. I figli sapevano dove andare e dove nasconderla. Due di loro ebbero addirittura la fortuna di ottenere dei documenti falsi che gli dichiaravano spagnoli e gli permisero di raggiungere Lisbona. Ma questa volta lei fu inflessibile. “Mi nasconderò qui e nessuno mi farà del male. Voi andatevene, fuggite, io sono troppo vecchia ormai, i nostri vicini così buoni non mi tradiranno”. Non ci fu niente da fare : lacrime, suppliche, urli, ricatti, niente la fece cambiare idea. Si sentiva stanca, si sentiva inutile, sarebbe stata un peso per loro e anche un pericolo. Lei voleva che i suoi si salvassero, a lei ci avrebbe pensato l’Eterno che sapeva quanto era stata pia, onesta, dritta. Una vita intera di ubbidienza alla Legge doveva pure farle da protezione contro il male, e poi la Francia era terra d’asilo, l’aveva accolta, protetta, coccolata, non avrebbe mai accettato che i barbari la riprendessero. Allora se ne andarono, lasciando con lei la figlia maggiore, Bertha, che non avendo né marito né figli aveva giudicato che il suo dovere era di restare, facilitando così la fuga di tre famiglie.
Il resto è indicibile...Le vennero a prendere su denuncia di una vicina, francese ; le arrestò un gruppo di poliziotti, francesi ; le consegnò ai nazisti un commissario alle questioni giudaiche, francese ; le misero su un vagone piombato, francese.
Golda Steplitzky coniugata Guerber e Bertha Guerber, nubile, sua figlia, morirono ad Auschwitz in Polonia nell’anno 1944, sotto i numeri EZ2345549976 e EZ234667549 che portavano tatuati sul braccio. Erano mia nonna e mia zia. E io sono francese…

In ricordo dei 6 milioni di ebrei morti nei lager nazisti, ma anche di tutti gli altri: omosessuali, zingari, preti cattolici, dissidenti...Se Dio esiste, che abbia cura delle loro anime.


9 commenti:

Luvi ha detto...

...non ci sono parole

Giovanna ha detto...

Quando ero bambina, di questi argomenti a scuola si parlava e si leggeva moltissimo. I libri di scuola ne erano pieni. E nella mente di un bambino queste cose fanno presa. Restano. E segnano. Ecco perché io mi indigno ancora, tutte le volte.
Durante il mio primo anno di insegnamento (alle scuole superiori, mica all'asilo...) scoprii che non era più così. Nominai Auschwitz e mi fu risposto, da un'intera classe: "E che è?".
Spero che nonostante questo ci si continui ad indignare anche in futuro...

erika ha detto...

ti ho ritrovato cuocone. che bello!
ciao

Jean-Michel ha detto...

Ma ciao Pinguina!!!!!
Benarrivata!
Sei sempre nella città del geyser?

:)))

marcella candido cianchetti ha detto...

che bella testimonianza, anche se non sò cosa vuoldire hassimid ecc... mi fai sempre studiare ,ancora sono a studiarmi i balli greci buona domenica

Jean-Michel ha detto...

Marcella, gli Hassidim sono una corrente dell'ebraismo molto religiosa.
Buona domenica a te!

:))

erika ha detto...

si sono sempre a ginevra. :-)

Jean-Michel ha detto...

Bene...ne sono felice!
Speriamo che un giorno capiti a Firenze come promesso ormai 4 anni fa...
Salutami la Saudade e la nipotina...

:***

marcella candido cianchetti ha detto...

grazie e buona giornata