domenica 9 marzo 2008

2 - 8 marzo all'insegna della Maestra

Ieri mattina, mentre le donne manifestavano proprio sotto il palazzo della Regione Toscana in via Cavour, nella sala del Gonfalone dello stesso palazzo il vice presidente della Regione e un gruppo di personalità istituzionali celebravano le Maestre di elementare della Toscana consegnando a otto di loro ormai in pensione un riconoscimento ufficiale e l'immancabile mimosa.
A questa occasione Sandra Landi, presidente della associazione femminile Griselda, e Alessandra Borsetti Venier, titolare della casa editrice Morgana Edizioni di Firenze, hanno presentato il terzo volume della collana "Griselda Gocce di Scrittura": "Magis", ovvero una serie di racconti di diversi autori tra i quali il sottoscritto, che evoca la figura del Maestro o della Maestra in senso lato, e una serie di opere visive di un gruppo di artisti che illustrano il tema. Le opere sono state esposte in loco e rimarranno visibili per alcuni giorni.
Vi sottopongo il mio racconto, che naturalmente parla di...cucina.

Il maestro del gusto

François faceva Masumba di cognome.
Apparteneva all’etnia Tschokwè, una grande etnia del sud del Katanga.
Era alto, slanciato, forte e nerissimo, con due occhioni enormi che faceva roteare per spaventarci quando eravamo cattivi io e mio fratello.
François aveva imparato a cucinare all’europea da mia madre e dalle mie zie, e mia nonna paterna aveva completato la sua educazione culinaria con ricette ebraiche dell’Impero Ottomano, cioè manicaretti sofisticati greci e turchi.
François sapeva quindi cucinare la zuppa di cipolle parigina, la quiche lorraine autentica, il coq-au-vin come in Borgogna, la bouillabaisse meglio che a Marsiglia, i borekas sefarditi, gli stufati con bamias come a Istambul, e tantissime altre cose che non appartenevano alla sua cultura e che non assaggiava mai.
Anzi, alcuni elementi fondamentali della nostra alimentazione gli facevano proprio orrore, in particolare i formaggi forti come il camembert, il roquefort o il brie, che portava in tavola con l’aria schifata e la testa girata per non sentire l’odore.
Io ero bambino e mi chiedevo perché lui e la sua famiglia mangiassero cose diverse dalle nostre, perché quando andavo nella casa di servizio dove abitavano, dietro a casa nostra, vedevo sua moglie cucinare cose assolutamente misteriose. In realtà si trattava della tradizionale cucina katanghese, a base di polenta di manioca, la “bunga” o “bukari”, contornata da diverse pietanze di pesce, carne, verdure e salse, il tutto servito sempre allo stesso modo: la polenta di manioca nella zucca tonda seccata che le faceva da contenitore e dove attingevano tutti con la mano destra per formare una pallina che poi intingevano nei piattini dei contorni e delle salse. Mangiavano seduti per terra, in cerchio, con le mani, e l’unico che aveva diritto ad uno sgabellino per sedersi era il capofamiglia, cioè il nostro François.
Per diversi anni avevo chiesto di assaggiare queste loro pietanze strane, ma non mi avevano mai permesso di mettere in bocca niente di ciò che cucinavano. Eppure ero molto curioso e insistevo sempre. “Sei troppo piccolo, non puoi, aspetta ancora un po’…”, rispondevano invariabilmente.
Un giorno, come capita a tutti, arrivai a tredici anni. François sapeva che era il mio tredicesimo compleanno, e quel giorno, prima di pranzo, mi portò a casa sua dove sua moglie, come al solito, stava cucinando il pranzo che avrebbero consumato dopo il servizio in casa nostra.
Mi fecero sedere per terra con le gambe incrociate e mi misero davanti una porzione di bunga e quattro piattini pieni di cibo. “Mangia!” mi ordinò François.
Senza chiedere cosa fossero quei cibi, mangiai lentamente, cercando di capire i gusti di ogni cosa, ma non capivo niente. Capivo solo che mi bruciavano la bocca e la gola da morire, un bruciore che mi fece venire le lacrime agli occhi. Non osavo smettere di mangiare e finìì tutto nella disperazione più intensa, mentre loro mi guardavano e ridevano.
Poi François mi dise: “vedi, ragazzo, adesso forse capisci perché non potevi assaggiare il nostro cibo da piccolo. Voi mangiate cose dolci e puzzolenti, innocue e senza sapore, mentre l’Africa è piccante e forte come questo cibo che hai appena assaggiato. Oggi hai subito il battesimo del peperoncino, da domani sarai capace di riconoscere anche i sapori.”
Era vero. Dall’indomani tornai diverse volte in casa loro al momento dei pasti e mi feci una cultura gustativa locale. Termiti fritti, pesce tilapia o persico, spinaci africani, salse di arachidi all’olio di palma, insomma tutte le loro specialità, sempre condite con il fuoco vivo del loro piccolo peperoncino tondo.
Quella cultura non mi hai mai più lasciato, e oggi, a cinquant’anni di distanza, lavorando in Italia come “cuoco etnico”, ringrazio ogni giorno il mio Maestro del Gusto, il grande Masumba François che riposa da qualche parte laggiù, in un cimitero katanghese.

Magis
Morgana Edizioni - Firenze
In libreria o direttamente (con sconto) dall'editore.

2 commenti:

sandra ha detto...

"Voi mangiate cose dolci e puzzolenti, innocue e senza sapore, mentre l’Africa è piccante e forte come questo cibo che hai appena assaggiato."

Tanto vero!!!!!

Luvi ha detto...

leggendo ti ho visto per un attimo bambino, in quel mondo passato che, anche attraverso i miei amati basenji, mi attira e mi affascina...grazie